“Il Giro bocciato sulla carta, viene promosso dalla strada”.
La frase è di Bruno Raschi, inimitabile cantore del ciclismo, che la buona sorte mi ha concesso il privilegio di essergli accanto in tanti Giri e in tante altre corse in Italia e all’estero prima che il “Divino” – così era chiamato Raschi – venisse aggredito dal cancro al pancreas.
Quella frase, generalmente utilizzata per smarcare i Giri d’Italia disegnati da Vincenzo Torriani e aggrediti gratuitamente dalla stampa cosiddetta specializzata, dev’essere di insegnamento a tutti.
Mi sia concesso, ora, di fare una traslazione dall’Italia alla Spagna adattandola alla Vuelta: in vista della méta di Madrid, vengono profusi elogi a chi ha disegnato la competizione iberica quest’anno come nell’ultimo decennio.
Onore ai meriti di Javier Guillen cresciuto come competente di ciclismo sulle tracce di Victor Cordero, che in carriera – prima di dedicarsi da pensionato alla nuova vita di romanziere – ha attraversato la storia del ciclismo incamminandosi di volta in volta sulle strade ostiche dei team manager, degli esperti di politica sportiva, degli organizzatori, eccetera. In altre parole “patron” Cordero per conto della famiglia Franco prima e della famiglia Amaury (leggasi ASO=Tour) poi ha trasmesso a Guillen pragmatismo, capacità di analisi, abilità nella sintesi, passione per il proprio lavoro che – diciamocelo con schiettezza – è più delicato da svolgere in Spagna, che in Francia o Italia.
E così la Vuelta è nata a nuova vita grazie alle intuizioni degli spagnoli e dell’invincibile sistema “industriale” messo in piedi dai francesi, cui gli italiani possono guardare soltanto con invidia. Allestimenti di prima fattura, strutture rinnovate di tanto in tanto, format più adeguati alle esigenze televisive: ecco il salto di qualità nel costruire il palcoscenico. Tutto ciò supportato da scelte tecniche d’avanguardia, difesa delle radici e sguardo costantemente lanciato sul futuro. Se poi si aggiunge la migliorata qualità dei partecipanti… ecco che ne esce una miscela esplosiva. Alias: la Vuelta più spettacolare di cui soltanto la Rai non se ne accorge abile come è a concedere a L’Equipe le immagini in diretta del Giro (audience bassissima in Francia) e a non acquisire i diritti televisivi della Vuelta che fanno capo allo stesso gruppo editoriale transalpino! Con buona pace di Eurosport, che così si conferma vero canale del ciclismo globale e degli spettatori che possono godere di cronache di buon livello epurate dai teatrini autoreferenziali e dal marchettifici indisponenti pieni zeppi di cattivi esempi del ciclismo stantio e comunque superato.
Come in ogni evento di impatto, anche la Vuelta patisce l’instabilità mentale di qualche spettatore e l’esuberanza eccessiva di qualche operatore dello staff. Ma ci fa divertire ogni giorno: dal primo (attraversamento sul red carpet dell’Arena di Nimes) all’ultimo (passerella a Madrid, scusate se è poco, l’indomani del moloch Angliru). Mai un tempo morto. Mai una tappa banale. Mai un tracciato privo di spunti per il ciclismo moderno. Il Tour può permettersi giornate di trasferimento, tanto poi il finale viene infiammato da 45 dei migliori 50 corridori del ranking mondiale. Il Giro no, ad esempio: eppure le propone nonostante abbia a disposizione una conformazione geografica della Penisola che persino Jacques Goddet (il papà del nuovo Tour) invidiava a Torriani.
Indipendentemente da come finirà la Vuelta 2017, già ci sentiamo in obbligo di ringraziare i corridori per come hanno saputo interpretare lo spartito tecnico proposto da Guillen e dal suo staff (non ultimo Fernando Escartin). E quelli sono corridori buoni… da Chris Froome che ha inanellato 4 Tour di fila e si è messo in caccia dell’accoppiata Francia-Spagna a Vincenzo Nibali, che con lo stagionatello (al passo d’addio con grande orgoglio) Alberto Contador è tra i pochi che in carriera abbia messo in bacheca Gio+Tour+Vuelta.
E quanti sono i ragazzi che nella scia dei tre citati sono usciti allo sbaraglio ipotecando il futuro? L’elenco è abbastanza ricco da evitarne l’enunciazione per non correre il rischio di incappare in qualche dimenticanza.
La nuova scuola spagnola merita applausi per la via innovativa intrapresa. E, siccome la necessità aguzza l'ingegno, c'è da attendersi che la Vuelta sarà la prima a lanciare le "series" prima di una corsa accorciata a 17 tappe delle 21 attuali; a inaugurare il concetto del "panchinaro", etc. Buon finale a tutti!